Più delle (in parte) prevedibili castronerie dette sulla Sardegna nella trasmissione Voyager di lunedì scorso e degli schieramenti opposti è interessante indagare sul senso di questa operazione, e anche sul meccanismo di sottovalutazione della stessa (“avete dato troppa importanza a quella trasmissione”). Mi ha colpito però non la sottovalutazione della trasmissione (più che legittima), ma la sottovalutazione del sistema di pensiero (e di mercato) al quale rimanda.
Non riuscirei a parlare di una trasmissione senza vederla, dando giudizi su altri che l’hanno vista e provato ad analizzarla. Io perciò l’ho seguita per una scelta che è anche ‘da archeologo’.
L’altra sera il campo semantico era la trasmissione, come un’area di scavo; gli oggetti disposti e poi presentati secondo una comunicazione corrispondente alle regole dell’antiquaria e del venditore di tesori (veri o contraffatti), bagnata di retorica nazionale. Si scelgono i più affascinanti, si propongono, se è il caso si vendono (d’altronde vi è una rivista legata alla trasmissione).
Una selezione di temi, anche di eccellenza, con carica di eccezionalità mediatica e vagamente misteriosa:
i menhir al centro della Sardegna, chissà perché /
le tombe di giganti costruite su terre magnetiche /
il grande tsunami e il piccolo triangolo delle Bermuda /
Monte d’Accoddi all’origine delle ziqqurat dei Sumeri.
L’elemento dirimente non è stato con evidenza la correttezza scientifica ma la Sardegna come luogo di meraviglie e stranezze (non sempre edificanti, come lo scarafaggio nel cisternone). Più alcuni inserti mirati come Domenico Millelire e Garibaldi, il primo a cacciare li franzesi e preparare l’unità d’Italia (da La Maddalena, come si è detto, si va in Sardegna), il secondo a realizzarla…
Questa la cornice che definisce il campo semantico. All’interno la terra misteriosa, l’esoterismo che si fonde con il catastrofismo, la conseguente distorsione della realtà a cancellare l’analisi storica reale dell’antichità, operando carichi emotivi che distraggano dai conflitti contemporanei, con pratica consolidata della cultura dominante. Il sacco del territorio e delle speranze di vita è oltre l’orizzonte visivo, lo sostituisce la grandezza del mistero…..
Come mai tutta questa attenzione? Appare evidente che la Sardegna, principalmente per merito delle sue recenti scoperte scientifiche e del nuovo lavoro culturale, anche indipendente, esploso negli ultimi decenni, stia ‘bucando lo schermo’: naturalmente grazie alle statue di Mont’e Prama, oggetto di fortissimo valore culturale ma di ancora più forte valore mediatico, del quale l’Italia e il suo sistema hanno molto bisogno. La dimensione idealistica e antiquaria ancora forte ora si coniuga con una società dello spettacolo molto avanzata, in grado di mettere al centro gli elementi più forti e investire su di essi.
Lo strato più profondo della nuova attenzione italiana rivela caratteristiche interessanti, meritevoli di attenzione, soprattutto in ambienti legati alla battaglia sui beni comuni e sull’autodeterminazione dei luoghi e della Sardegna: il viaggio nella Sardegna dell’altra sera ha riattualizzato la vecchia idea del Grand Tour, inglobando nell’Italia civile luoghi selvaggi (a suo modo lo scarafaggio è un’icona potente), preludio alla storia della nazione dominante. Un processo europeo conosciuto, una conseguenza moderna della narrazione a stampa possibile dopo Gutenberg, e ora, con rinnovata potenza, per l’Homo videns. Perciò noi sardi dovremo essere felici, e non pochi ahimè lo sono, come il povero Toro Seduto portato in tournèe spettacolo da Buffalo Bill, finalmente importanti e visti. La serata ci ha indicato un confine fra ‘noi’ e ‘loro’, e quanto di ‘loro’ sia dentro noi, di quelli di noi felici di essere accolti. Ora siamo anche noi parte della compagnia di eroi, navigatori e poeti in una rinnovata e più attenta strategia coloniale.
Quella raccontata da Giacobbo, in un servizio pubblico che paghiamo, è una nuova storia italiana, non è la nostra storia. Non serve presentare una sintesi dei dati condivisi dalla comunità scientifica. E’ la fuffa commerciale ad essere funzionale ai nuovi indirizzi della storia politica italiana.
Perfettamente integrata a tutto ciò la questione della valorizzazione. Perché non si valorizzano queste ricchezze? Se il parallelo con Stonehenge è tipico di Giacobbo, piuttosto arbitrario e comunque usato in modo ricorrente (come quando lanciò, a contrasto sempre con Stonehenge, la valorizzazione del ponte di Bassano, vedi qui ), c’è in esso un senso reale. Poco importa che le premesse siano di una banalità sconcertante, come quel dire “altrove sì che valorizzano, che siano quattro pietre, o grandi pietre ricostruite e neppure originali, o il mostro di Loch Ness”, senza vedere come il contesto sia completamente diverso per molte ragioni, e non paragonabile, spesso in Stati che hanno un millesimo del nostro patrimonio, mentre noi ne abbiamo una quantità enorme. C’è chi è a suo modo costretto a campare di invenzione. Noi potremo esserlo di qualità.
(Il problema non è il kitsch, o l’effetto speciale di tipo commerciale, che si assomigliano molto: ho trovato sbagliato alzare muri contro le produzioni seriali semplificate, senza troppa cura scientifica ed estetica, chiamate kitsch. Sono un fenomeno inevitabile in questo sistema, non mi piacciono ma personalmente non ci trovo nulla di male. L’importante è tenere separati i piani: se la politica pubblica sceglie di investire sulla qualità culturale, non può anche cavalcare, neppure patrocinare approssimazione e kitsch. Il kitsch si legherà ad essa per ragioni di mercato e di maniera, più crescerà la forza culturale. Sarà, come sostengo da tempo, addirittura segno di un patrimonio culturale e paesaggistico rilevante, e non pochi operatori commerciali ci camperanno).
In Sardegna abbiamo, più che in altre parti del mondo, la possibilità di investire in qualità con vera abbondanza di scelte, senza inventarci nulla. La ricchezza dell’archeologia sarda, piena di ‘eccellenze’, è la rete diffusa, che permetterebbe, investendo nella conoscenza, nella conservazione, nella tutela, nella ricerca, nella formazione, di mettere in ‘produzione’ progressivamente la riserva inesauribile del patrimonio. Mettendo a regime i siti e costruendo livelli professionali e retribuiti. Abbiamo un grande capitale di lavoro cognitivo specializzato. Si può e si deve costruire occupazione, e sinergie con esso. Ma non si può fare perché la classe politica non vuole, non perché ‘non è in grado’. Perchè nel meccanismo omologato sparisce la differenza, prevale la modalità al ribasso, i beni culturali sono merce uguale dappertutto, e quindi anche quelli sardi. Una Sardegna allineata con le scelte della politica italiana e del mercato, semplificata. La sua differenza e la sua storia, radicata in un paesaggio da difendere e promuovere luogo per luogo, fa paura al sistema ed è ad esso incompatibile.
Credo che sia anche questa la ragione del fuoco di sbarramento delle banalità, contro “i puristi con la puzza al naso”. Per saltare il problema della qualità e puntare come azione principale sul commerciale non necessariamente vero, come è stato ampiamente scritto in disegni di legge.
E’ fuorviante dire che la classe politica non è in grado di fare valorizzazione, se non si aggiunge che si tratta di scelte precise da parte di chi ha sempre approvato i tagli ai beni culturali, alla tutela, alla ricerca, alla formazione. Una classe politica che, più che non essere in grado, non vuole un modello vero di sviluppo sostenibile basato su cultura e paesaggio, e anzi lo vede come pericolosamente alternativo al sistema e ai propri affari (il tentativo da parte di una classe politica possibile di costruire un discorso diverso sulla cultura, sui luoghi, sulla qualità, evidente nei documenti e nei programmi, è stato cancellato in Sardegna da una legge elettorale infame).
Ma le attuali linee di tendenza, sia del Ministero sia della classe politica, sono orientate a comprimere la tutela, deprimere la ricerca, togliere continuamente fondi, e poi ricorrere al volontariato. Sabotando la più grande risorsa della Sardegna e mantenendo la possibilità di decidere mediante le solite clientele.
Giacobbo si scandalizza sul fatto che non ci sia nessuno presente nella magnifica area dei menhir, e dà voce a un qualunquismo comune che tace sui tagli spaventosi ai finanziamenti pubblici fatti da una classe politica amica, che non investe in cultura e plaude ai campi da golf. Si va dalla superficialità allarmante alla malafede.
Ecco perché Voyager è piaciuto al potere italiano, a qualche sovranista e alle associazioni che vogliono intercettarne la volontà di risparmiare sul lavoro professionale mediante il volontariato. Con reciproco guadagno.