La polemica inserita dall’Espresso a proposito di alcuni musei nazionali e, fra questi, del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, è stata subito raccolta e ampliata, favorendo una discussione sull’importante museo ma nello stesso tempo distorcendola.
Credo che sia necessario stabilire innanzitutto il contesto nel quale si inserisce la notizia.
Nella profonda crisi del sistema della tutela, assistiamo a una sorta di ‘rivoluzione’ del comparto museale con la costruzione dei nuovi Poli “Regionali” (in realtà statali) e delle controverse nomine di direttori, anche non italiani, intanto nei venti musei ‘principali’. E soprattutto emerge uno scontro netto, all’interno di una ‘modernizzazione’ assai criticabile del sistema beni culturali fondata su alcune linee guida dell’attuale politica governativa: valorizzazione delle ‘migliori emergenze’, ulteriore indebolimento della tutela ordinaria e diffusa nel territorio (anche con apposite norme), centralizzazione del potere politico con la sussunzione degli Uffici della tutela sotto Prefetto (vedi ad esempio questo comunicato di Assotecnici). E ‘infine’ ruolo del volontariato e dell’associazionismo da sostituire al ….più oneroso lavoro retribuito, ignorando (dopo essere stati costretti a riconoscere per legge i professionisti dei beni culturali da anni di battaglie e lavoro) la potenzialità e la ricchezza possibile offerta dall’impegno competente e retribuito, sia come lavoro sia come costruzione di un’offerta ad altro livello.
Vi è un obiettivo appoggio ideologico di molta stampa (e certamente Espresso e Repubblica) alle riforme renziane e del ministro Franceschini.
E’ in questo scontro, che spinge verso la privatizzazione dei beni culturali e il privilegio dei monumenti e musei ‘più importanti’, che vanno lette o che oggettivamente si inseriscono, in special modo localmente, le polemiche contro il Museo di Cagliari.
Esso ha, come molti musei figli del sistema novecentesco della tutela, limiti e pecche, sia di moderna formazione museologica sia, soprattutto, di carenza di fondi ordinari; ma anche notevoli elementi di altissima qualità scientifica e organizzativa, che sono orgoglio per il nostro territorio.
Spesso i musei comunicano male, ed è necessario operare un salto di qualità prettamente museologico, perché la comunicazione, e le esigenze ad essa legata, sono cambiate in profondità.
E’ fra la seconda metà del Settecento e l’Ottocento che il Museo pubblico, dalle precedenti radici collezionistiche di nobili, potenti e prelati, e poi di esistenze individuali forti, specifiche, si consolida e diffonde come luogo di narrazione della storia nazionale. Da questo ruolo discendono le sue funzioni, più o meno definite (declamate talora in categorie dello spirito). Il ‘luogo delle muse’ è specchio dell’evoluzione sociale, delle concezioni che abbiamo di storia e cultura, dei soggetti che le esprimono. Infine, di un rapporto con il territorio che è quello che poi va a formarsi nelle diverse epoche. Soggetti, luoghi e ’platea’ di fruitori sono profondamente cambiati, e la comunicazione ha necessità di adeguarsi a tale realtà. Però non mi pare che tutto sia immobile, e sembra più una fase di passaggio e trasformazione, non senza iniziative e con molte contraddizioni.
Ho anche l’impressione, nella discussione nata in Sardegna, magari in controluce, di rivalità interne e movimenti anche dettati da fratture istituzionali in atto, obiettivi personali e magari dalle future elezioni comunali cagliaritane (persino con singolari lezioni di museologia e valorizzazione del patrimonio isolano da parte di chi organizza portali e interpretazioni scientificamente sgangherate dell’archeologia della Sardegna). E, sullo sfondo privatizzante, l’idea di impossessarsi della gestione di reti museali mediante meccanismi legati a fondazioni gestite da capitale e politica, come in alcuni tentativi nazionali.
Un piccolo cabotaggio che si capisce meglio vedendo l’assenza di ogni accenno critico ai finanziamenti pubblici insufficienti da decenni, al sistema collezione-scavo-soprintendenza-museo che è in profonda crisi epocale, e, non da ultimo, alla necessità di pieno riconoscimento del lavoro e in specifico delle figure museali. Esse sono articolate da anni nei vari livelli dall’ICOM (International Council of Museums), punto di riferimento italiano ed europeo per l’organizzazione del museo di suoi profili di professionalità, strettamente legati ai saperi e alla tutela. Perché un museo sia professionale non serve solo un ottimo e qualificato direttore, ma la presenza complessiva delle principali figure, dal catalogatore al restauratore, dal conservatore all’educatore al responsabile dell’accoglienza a quello della biblioteca, da quello finanziario a quello informatico a quello dello sviluppo etc.
La produzione di critiche, alcune giuste di per sé, perde costantemente di vista, oltre alla necessità di innovazione interna ed al lavoro reale necessario, un aspetto fondamentale del quadro generale: la debolezza finanziaria dei musei legati al sistema delle Soprintendenze, che non può essere certo risolta con singoli interventi mirati, e la necessità, sostanzialmente elusa, di investire molto nei beni culturali e al contrario nella scarsezza strutturale dei fondi disponibili.
E’ un fatto che molti direttori di musei e funzionari dello Stato fanno da tempo, come si suol dire, ‘le nozze coi fichi secchi’. In questo senso trovo pienamente comprensibile, e dignitosa, la risposta del Soprintendente Minoja.
Il vero problema del Museo Nazionale di Cagliari, naturalmente nella mia lettura museologica, sta nel suo rapporto con il territorio della Sardegna e le dinamiche in corso. La relazione fra musei e territorio con la presenza di una rete museale molto vasta, che a fatica cerca negli ultimi anni un discorso di migliore qualità e minore localismo e anarchia, che pure procede. Un campo nel quale la Sardegna ha una specifica competenza diretta, in rete dei Civici Musei coordinata (in maniera ampiamente migliorabile…) dalla Regione in Sistema Museale con diversi poli e grandi tematiche.
A fianco di questa rete sarda (e dentro il sistema dei musei statali della Sardegna), importante e con molte esperienze belle, ora la riforma Franceschini pone il Polo Regionale museale dei musei statali.
Oltre alle connessioni che rischiano di perdersi fra musei e territorio, già di fatto elaborate nel regime speciale dei ‘venti musei’, quali connessioni fra di loro avranno in Sardegna i vari musei statali? Quali relazioni si porranno fra questa rete e la rete dei musei civici? Infine, in uno Stato italiano sempre più centralista e determinato a tagliare le spese pubbliche e i fondi agli Enti Locali, quanti musei civici (ovvero quanti finanziamenti comunali) resisteranno?
Serve perciò inserire la lettura di ogni singolo museo, anche di grande rilievo e dimensione (pur non essendo quello di Cagliari fra i venti eletti…) per coglierne e reimpaginare la funzione nella rete e nel suo senso; scegliere la politica museale sulla base delle idee che si hanno per lo sviluppo del territorio.
Una politica centralista esprime, ed è basata su di essa, la prevalenza dei grandi musei e del polo statale; uno sviluppo del territorio basato sui luoghi, sulle differenze, e sulla connessione in rete delle specificità luoghi, punta necessariamente ai musei come espressione del territorio stesso, collega musei nazionali e civici in modo integrato (rende importante l’applicazione dell’idea museale come modernoi eco-museo, ovvero come museo di quel territorio). La possibilità, e l’esigenza di un collegamento organico fra museo e patrimonio culturale dei luoghi oggi rischia, per le nuove politiche nazionali, un grave indebolimento. Proprio mentre abbiamo bisogno di rafforzarlo.